domenica 5 maggio 2013

Gavenola e le sue vesti preziose


Ai confini nordorientali della Provincia di Imperia, si estende la Valle Arroscia, l'unica a essere orientata con andamento trasversale da ovest a est, anziché da nord verso il mare come tutte le altri valli ponentine. I borghi hanno molto da raccontare, basta pensare a Pieve di Teco, punto nevralgico di collegamento tra il Ponente ligure ed il Piemonte, quindi luogo storico d'interesse per i Savoia e la Repubblica di Genova. La nostra attenzione, però, oggi si rivolge alla frazione di Gavenola, nel paese di Borghetto d'Arroscia. Il paese, situato nel fondovalle, si presenta come tipico borgo medievale, attraversato da un esile ponticello in pietra a schiena d'asino, inserito in un ambiente agreste quanto mai suggestivo. In questo scenario d'altri tempi, fa capolino la frazione di Gavenola, custode di importanti e preziose opere artistiche.
A saltare subito agli occhi è la chiesa parrocchiale di San Colombano, la più grande della valle dopo quella di Pieve di Teco.  Fondata dai monaci colombaniani di Bobbio, si collegava con i monasteri del basso Piemonte e venne ingrandita in stile neoclassico verso la fine del Settecento per iniziativa di Francesco Vannenes.
Nella parrocchiale si conservano opere acquistate da Vannenes sul mercato genovese e destinate al paese "adottato": fra le altre, il gruppo ligneo della Flagellazione, che giunse a Gavenola nel 1769, e la statua maraglianesca del Cristo deposto.
Il gruppo ligneo della Flagellazione è stato diviso su tre casse, per consentirne il trasporto più agevole possibile in occasione delle processioni: i giudei, gli armigeri e la flagellazione.
L'opera raffigura il corpo esanime di Cristo deposto, nel momento in cui la tensione spasmodica accumulata sulla croce va lentamente attenuandosi; alcune modifiche ottocentesche ne mettono, inoltre, in evidenza i particolari macabri, quali lividi e colature di sangue che vanno a macchiare anche il candido sudario.
In rapporto a queste opere si giustifica l'arrivo (tra 1789 e '90) dei ventiquattro abitini delle "Milizie celesti".
Così sono descritti nell'inventario del 1842 ventiquattro costumi da angelo conservati fin dagli anni 1789/90 nella chiesa Parrocchiale:
"N° 24 vesti d'angeli cioè (sic) delle quali si vogliono vestire 24 ragazzi alla Processione del Sacro Deposito con alquante angeliche insegne"
Gli abitini, di primo Settecento, in velluto nero con ricami a riporto in argento, simulano piccole armature complete di elmo, lorica e gonnellino. Indossati da una serie di bambini che impersonano la schiera angelica di San Michele, scortano ogni cinque anni il Cristo deposto nella processione del Venerdì Santo. Nonostante l'attuale connotazione "celeste" - la croce sul cimiero, le ali - gli abitini hanno un convincente termine di riferimento nei costumi teatrali delle feste seicentesche di corte, non di rado disegnati proprio in funzione di giovanissime comparse.
Si tratta dell'abbigliamento di un particolarissimo drappello simboleggiante giovani angeli; le ali (forse realizzate in un secondo momento) sottolineano il carattere celeste della schiera. Dal 1779, ancora oggi la cassa del Cristo Deposto sfila custodita da queste particolari Milizie Celesti, anche se le condizioni precarie delle vesti originali hanno reso necessaria la realizzazione di copie fedeli da utilizzare per la processione del Venerdì Santo.
Il patrimonio liturgico e artistico della chiesa di San Colombano, oltre alle preziose Milizie celesti, lasciano intendere come l'intera valle abbia vissuto un periodo storico-sociale florido, dovuto senz'altro ai continui passaggi di culture diverse tra il Piemonte e la Liguria. Ne è una testimonianza anche la cucina, dove i prodotti tipici come "La streppa e caccia là" di Mendatica (scopri la ricetta sulla pagina di Facebook! Clicca qui) o "Le turle" (grossi ravioli di patate e menta) fanno traspirare una preferenza per i piatti montani piuttosto che di mare.


Scritto da Noemi D'Amore



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