mercoledì 3 aprile 2013

Bussana: Cronaca di un terremoto

Mercoledì 23 Febbraio 1887

Ore 6.00

A Bussana, paese di 820 abitanti, si è nei festeggiamenti del carnevale. E' ancora mattino presto, ma molte donne sono già affacendate nei preparativi quotidiani, mentre altri abitanti si sono recati in chiesa per la funzione delle Ceneri. Il paese è ancora immerso in quella nebbiolina tipica delle fredde mattine invernali, le strade sono vuote, silenziose. I fedeli, una cinquantina, sono appena tornati ai loro banchi dopo aver ricevuto le Ceneri dal parroco Don Lombardi. Il canonico Fresia, predicatore della collegiata di Pieve di Teco, sta salendo sul pulpito per pronunciare la predica, quando si sente un rumore come di vento furioso che via via cresce. La terra inizia a tremare e, in pochi secondi, le case della parte alta del paese diventano una trappola mortale, una prigione dalla quale poche persone riusciranno a liberarsi. Il parroco, vede una pietra cadergli sulla Bibbia e,intuito il pericolo, grida "Terremoto!", così i fedeli corrono a ripararsi nelle cappelle laterali. Il terremoto è forte. Le scosse sono dei sussulti violentissimi, seguiti dal moto ondulatorio del terreno. Il fracasso è orrendo: le chiavi di ferro che legano il soffito della chiesa si spezzano e anche la facciata cade tutta d'un pezzo, ostruendo la porta principale. Si aprono diverse spaccature sopra gli altari, ma i muri resistono. In strada, le volte non reggono e crollano una dopo l'altra, riempiendo le vie di macerie e polvere. Il rumore assordante delle case che crollano, delle cose che sbattono l'una con l'altra, non riesce a nascondere le urla di dolore e di spavento degli abitanti in questi "soli" 23 secondi di paura.
Tre persone sono morte nel crollo della chiesa, ma ancora nessuno se n'è accorto. E' quasi impossibile respirare a causa della polvere e l'oscurità rende tutto ancora più temibile. Una famiglia, in zona delle Rocche, tenta di uscire dalla sua abitazione. La porta è bloccata per via dei muri crollati e anche le finestre sono impossibili da aprire. Il padre riesce a farsi strada da un lucernario e aiuta i figli e la moglie ad uscire. Ma anche al di fuori dell'abitazione, è come essere in una trappola senza via d'uscita. L'unica stradina che dalla piazzetta, scendeva lungo il paese, ora è ostruita dalle macerie. E' buio, non ci sono lampade, e trovare una strada alternativa sembra impossibile per le centinaia di persone sopravvissute.
Immaginate l'angoscia di quel momento. Don Lombardi scrisse, un paio di mesi dopo, che "Tutti gridavano, fuggivano da una parte e dall'altra, ma non vi era possibilità di fuggire...e poi le grida dei sepolti vivi, dei feriti e le lacrime di quei poveri infelici che si trovavano ancora lassù a piangere i loro cari visti schiacciare dalle macerie.." 

Dopo 10 minuti, un'altra scossa fa tremare di nuovo la terra. Causa altre macerie sulle macerie, ancora morti sui morti.

Don Lombardi continuò così: "..finalmente le persone bloccate in cima al paese trovarono la porta di una stalla che comunicava con un'altra stalla, e così poterono giungere in piazza.. e dalla piazza salvarsi nell'aperta campagna... Vidi uscire uno tutto coperto di polvere, con gli occhi stralunati e che gridava come un ossesso..indi altri che la polvere, lo spavento rendevano irriconoscibili..indi altri che portavano i loro cari cadaveri in miglior posto dopo averli dissotterrati dalle rovine.."
La "Gazzetta del Popolo" del 6 marzo 1887, nr. 65, scrisse "San Remo. La prima scossa delle ore 6.25 minuti del 23 febbraio fu preceduta da rombo somigliante al rumore prodotto da una forte aspirazione di un largo ed alto camino..Il mare, tranquillissimo nei giorni precedenti, presentò, dopo le scosse più violente, una strana alterazione di flusso e riflusso, sollevandosi ed abbassandosi di circa un metro... Si trovarono pesci morti sulla spiaggia. Un bastimento, ancorato nel porto, ruppe gli ormeggi..".
Passato il primo momento di grande confusione, gli uomini più in forza iniziano ad organizzare i primi soccorsi: si corre a cercare superstiti alle Rocche, dove anziani, inabili e feriti sono ancora intrappolati. Lo spettacolo che si presenta agli occhi dei soccorritori è desolante. Ovunque si odono grida d'aiuto, pianti e lamenti, urla di madri che rifiutano di fuggire e lasciare i loro figli, i mariti. E tutto questo mentre la terra continua a tremare.Un primo soccorso ai feriti viene dato dal medico condotto in paese, Raimondo Fornara, ferito lui stesso. 

Ore 8.00
Sono le otto del mattino e da San Remo arrivano volontari e medici, guidati dal dottor Emilio Panizzi, provvisti di medicinali e ferri chirurgici. I feriti più gravi vengono spostati dalla vigna parrocchiale, in due case che il terremoto ha risparmiato.

Ore 9.00
Sono le nove e mentre le ricerche vedono molte persone all'opera, una nuova scossa fa crollare altri muri e seppellire altre persone. Eugenia Pizzo, giovane moglie di Giovan Stefano Calvini, stava porgendo il suo bimbo di 22 mesi ai soccorritori che erano riusciti a liberarla dalle macerie quando la scossa li fa precipitare di nuovo, uccidendoli entrambi. Stessa sorte tocca a Luigi Torre, tornato a scavare tra le rovine della sua casa nella speranza di ritrovare le sorelle. I corpi delle ragazze verranno trovati solo un anno dopo, ancora strettamente abbracciate.

Ore 10.00
A Bussana giunge un plotone di soldati del 26° reggimento di stanza a San Remo per espletare l'opera di salvataggio e di rimozione delle macerie. Questo fu il danno, sul danno. Il comandante tenente Mattei obbliga i bussanesi ad abbandonare le ricerche. lasciando solo ai militari il compito di intervenire. Mette a guardia dell'ingresso del paese delle sentinelle armate con l'ordine di punire chi avesse disobbedito. Intanto, sotto le macerie, le persone attendono di essere salvate. Ma il disposto è tassativo: sospendere le ricerche ed abbandonare il paese. Molti giovani, che avevano iniziato a scavare dove sentivano lamenti di persone ancora vive, non si rassegnano e, passando alle spalle del borgo, per luoghi pericolosissimi, si riportano alle 
Rocche dove riescono a salvare la giovane figlia dell'inserviente comunale, Leonina Calvini, un giovane ventenne ed un ragazzo di undici anni.

La Giunta Municipale di Bussana, riunita il 20 Aprile successivo, esaminò le richieste del comandante Mattei, il quale voleva un riconoscimento per atti di coraggio avendo salvato un giovane e avendo riportato una grave ferita alla mano durante l'estrazione di un cadavere dalle macerie. La Giunta, che già aveva mirato a ridimensionare il ruolo effettivo svolto dal plotone di soldati, rifiutò il riconoscimento indicando che il tenente aveva "coadiuvato" alle operazioni di salvataggio di Pasquale Donetti e la ferita alla mano era derivata da una bruciatura di sigaretta avvenuta precedentemente all'estrazione del corpo. Segnalò invece, di propria iniziativa al Ministero, una ricompensa per ventotto giovani bussanesi per "..l'opera veramente esemplare e coraggiosa per cui si distinsero.."

E' sera, e le tenebre calano su una popolazione priva di tutto, senza un tetto per ripararsi e riposare, senza coperte, né viveri, rimasti sepolti sotto le rovine. Vengono issate alla meglio tende ed altri ripari di fortuna, e la gente vi si ripara anche a gruppi di venti per tenda, ammucchiata, senza distinzione di famiglia, età o sesso. Si recita il rosario per gli scomparsi e si racconta agli altri la propria storia appena vissuta.

Fine prima parte

Parte 2


Noemi D'Amore
(Informazioni tratte da: "Bussana, rinascita di una città morta")





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