domenica 21 aprile 2013

Bussana: cronaca di un terremoto (parte 2)



Per leggere la parte 1 clicca qui

 Giovedì 24 febbraio
Dopo la notte passata nell'angoscia, al freddo, con una tenda come tetto sulla propria testa, gli abitanti di Bussana si alzarono all'alba per riunirsi, quasi distinto, tutti insieme al paese per constatare i danni. Alla visione della violenta distruzione avvenuta appena il giorno prima, la fame e il freddo lasciarono spazio all'agitazione e al senso di impotenza di fronte a così tanta disgrazia. In questo momento non si sa cosa fare, come e cosa mangiare, sembra che tutto ormai sia perduto. I primi soccorsi alimentari iniziano ad arrivare da San Remo, insieme a qualche coperta ed una delegazione composta dai Marchesi Spinola e del Castillo, dal Cavalier Zirio ed altri, consegnò al sindaco 500 lire per le spese urgenti. Pensate, 500 lire!
Quel giorno fu dedicato interamente all'estrazione dei cadaveri dalle case, i quali vennero poi sistemati nell'oratorio di S.Giovanni Battista, nella piazzetta al disotto della chiesa parrocchiale. Le uniche notizie che giunsero quel giorno furono relative al ritrovamento di altre, e ancora altre, vittime. Si sparse la voce che dalle rovine di una casa completamente rasa al suolo uscirono illese una donna ed una bambina.  La giovane donna, Giuseppina Soleri, raccontò così quel tragico giorno: "Quando si udì il terremoto io mi trovavo in letto con le due figlie Romana, vicino al muro, e Antonietta in mezzo. Tosto io feci per alzarmi ma ché, ebbi appena il tempo di afferrare la piccola Antonietta che sprofondò tutta quanta la casa ed io mi trovai letteralmente coperta di pietre unitamente alla mia figlia, e solo avevamo libera la faccia e tant d'aria da vivere. Che gramo vivere però era quello.. Noi non potevamo muoverci in modo alcuno, quando venne un'altra scossa, e questa ci fece sprofondare nuovamente. Fu fortuna, si, fortuna, perchè ci rotolammo giù giù, e terminammo in una stanza, ove eravamo libere, ma nell'oscurità più cupa. Allora cominciai a tastare colle mani per individuare ove io fossi, trovai un armadio, l'aprii e giudicai che fossimo in casa Novella. Trovai delle vesti così mi vestii completamente e così feci anche con la mia bambina. Mia figlia se ne stava queta, essa non conosceva il pericolo, non pianse mai, non domandò mai da mangiare, nelle cinquanta ore che stemmo sotterrate solo due volte mi domandò da bere. Io le risposi con tanta calma, bisogna morire figlia, altro che bere. Gridare era inutile bisognava agire. Allora cominciai a prendere una per una le pietre da parte che guardava mezzogiorno e le portavo a tramontana. Fu un lavoro lungo assai e penoso, ma non volea morire sepolta.... lavoravo di continuo fino a tanto che non visi un po' di luce..feci uscire per prima mia figlia Antonietta e poi, carponi, carponi, adagio, adagio uscii io stessa, e mi posi a sedere sopra una pietra in mezzo alle rovine, all'entrata della soglia che dovea essere la mia tomba..."
Questo fu l'ultimo salvataggio che si compì a Bussana.
Come si è visto (leggi: parte 1), vi era il divieto per i bussanesi di andare in paese a cercare altre sopravissuti. Quando un gruppo di persone ottenne il permesso per risalire sino alla chiesa a cercare anime ancora vive, si udì un grido d'allarme "Fuggiamo! il campanile crolla!". Nel panico causato da quel grido, il gruppo torno indietro, abbandonando definitivamente l'idea di riprendere a scavare. Quel campanile, dopo oltre cento anni, si regge ancora in piedi, ma come disse Don Lombardi, usando una reticenza fin troppo esplicita, "Il terrore fu seminato da quel grido e dall'autorità di chi lo emise".

Venerdì 25 febbraio
Nella mattina del 25 giunse a visitare i suoi fedeli il vescovo della Diocesi di Ventimiglia monsignor Tommaso Reggio, il quale volle rendersi conto di persona della situazione di Bussana e lasciò al paese un cospicuo contributo finanziario per le necessità incombenti. Si assunse inoltre la responsabilità degli orfani, che fece ricoverare in istitituti religiosi della provincia. Quel giorno continuarono le visite delle personalità e gli arrivi di nuovi aiuti. Gunsero altri medici come il dottor Giovanni revelli, primario dell'ospedale Pammatone di Genova, arrivarono altri soldati, un gruppo di pompieri di Sampierdarena insieme ad alcuni ingegneri delle ferrovie per far cadere le case pericolanti e dissotterrare i morti. Si preoccuparono anche di recuperare i valori ed i beni ritrovati nelle case consegnandoli ai legittimi proprietari sopravissuti. 
Al calare del sole del terzo giorno furono celebrati i funerali delle vittime del terremoto. Inizialmente i morti vennero posati uno addosso all'altro, uomini, donne, ragazzi, tutti insieme sopra ai carri che, muovendosi in fila, formavano un lugubre corteo. Don Lombardi volle risparmiare ai parenti quell'orribile visione, specialmente in un momento dove tutto era già sofferenza, così chiese ai fedeli di attendere nelle tende e recitare il rosario mentre lui avrebbe accompagnato il corteo funebre. I cadaveri vennero sepolti in una grande fossa comune nel cimitero.
Quella notte un fortissimo vento sembrava rimarcare il lamento e la sofferenza delle persone che non ce l'avevano fatta, mentre la forte pioggia le lacrime versate dai familiari superstiti.

Sabato 26 febbraio e i giorni seguenti
Al quarto giorno dal disastro, la popolazione di Bussana si ritrovava ancora accampata sotto rifugi di fortuna, che poco riparavano dal rigido freddo di fine febbraio. Un primo miglioramento arrivò con quaranta tende coniche di tipo militare, ma si continuava a dormire vestiti ed a vivere nella promiscuità, in quanto ogn tenda veniva occupata anche da 15-20 persone. Di giorno la situazione non era più favorevole: il vento e l'umidità non permettevano di accendere il fuoco e quindi, nonostante l'arrivo di vari generi alimentari come pasta, riso, carne, le persone erano costrette a mangiare solo pane per l'impossibilità di avere cibo caldo. Era necessario costruire le baracche che avrebbero non poco sollevato quella gente.
Abbiamo focalizzato l'attenzione su Bussana, ma Il problema si poneva in tutta la Riviera con particolare urgenza in quelle località dove il terremoto aveva abbattuto quasi tutte le case.
Il comitato circondariale di soccorso stanziò 20 900 lire per la costruzione delle baracche a Bussana e, stimando una spesa di circa 200 lire ognuna, si può ipotizzare che ne vennero costruite un centinaio. Via via che erano pronte venivano consegnate alle famiglie più bisognose, dove potevano collocarvi finalmente le proprie cose e dormire su dei letti, riparati dal freddo e dal vento.
Mancavano invece edifici per gli usi pubblici: la messa veniva celebrata all'aperto ed il Consiglio Comunale chiese di poter utilizzare una baracca che servì anche come sede per il locale Comitato di soccorso.
la gente continuava ad essere terrorizzata dalle continue scosse di assestamento che per tutto il mese di marzo fecero tremare la terra e che culminarono con la forte scossa dell'11 marzo. In quel clima di tensione, ogni diceria, anche la più assurda, veniva creduta vera.

la domenica delle palme del 1894, dopo 7 anni, con una cerimonia simbolica nella chiesa distrutta, gli abitanti dissero addio al veccgio paese e incolonnati in processione, verso il capo Marine, diedero vita a Bussana Nuova.

Noemi D'Amore
Fonte notizie: Bussana - Rinascita di una città morta

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